Famiglia, luogo di speranza. Celebrato al Santuario della Guardia l’evento giubilare

C’è chi lo assicura come svedese d’origine, c’è chi lo attribuisce a San Tommaso. Di certo, a pronunciare il proverbio domenica 26 ottobre al Santuario della Guardia è stato il Vicario episcopale Mons. Pietro Pigollo nella sua omelia: “Le sofferenze condivise sono sofferenze dimezzate, le gioie condivise sono gioie raddoppiate”. Una citazione ben precisa nel quadro della Giornata diocesana delle Famiglie che è stata celebrata come evento giubilare: sia il dolore che la felicità assumono una dimensione diversa a seconda se vissute in solitudine o in una dimensione di solidarietà, ancor di più se qualunque concreta testimonianza arriva da portatori di speranza, quali sono chiamati a essere i cristiani. Non a caso il titolo che l’Ufficio per la Pastorale familiare diretto da monsignor Pierluigi Pedemonte (concelebrante alla Guardia insieme a don Mario Novara) era “La speranza vissuta”, una realtà profonda base anche delle testimonianze regalate da tre coppie e su cui si è fondata la condivisione pomeridiana in gruppi.

L’omelia di Mons. Pigollo ha preso spunto dalla pagina di Vangelo del giorno, protagonisti il fariseo e il pubblicano, per sottolineare un tema di fondo (“Qual è la verità con la quale Dio vuole illuminare le mie scelte?”) e proporre una prima risposta (“Avere la grazia di poter guardare a lui come il nostro sole, per vivere alla sua luce e far verità – appunto – sulla nostra vita”).
Ed ecco una prima necessità: essere coerenti con il Vangelo di Gesù, riconoscendo i propri errori e chiedendo perdono.
Nell’ambito della famiglia – piccola Chiesa – farlo verso il coniuge, i figli, i genitori. “Basandosi sulla verità di Dio, con umiltà – ha sottolineato Pigollo – col desiderio di cambiare e aiutandosi l’un l’altro”. Poi una riflessione sulla lettera di San Paolo, la bellezza di arrivare all’ultimo giorno avendo “conservato la fede”, vissuta in primis in famiglia, sul posto di lavoro, in tutti gli ambienti frequentati: “Un messaggio di speranza. Come viverlo nelle nostre famiglie? Già all’inizio di una relazione, affinché sia d’amore vero, desideroso di costruire con serietà”.

Come quella testimoniata in una due giorni degli Incontri Coniugali e ricordata dal vicario episcopale: “Una coppia che, dopo oltre mezzo secolo di matrimonio, si era rimessa in gioco per capire se, lungo tutto quel tempo, si fosse dimenticata qualcosa, desiderosa nel caso di migliorare ancora la relazione. Perché si può sempre cambiare quando entra la Grazia di Dio. Avendo speranza anche nella malattia, nella separazione; tutti chiamati a essere samaritani, assumendosi pesi e sofferenze degli altri”.
L’augurio che ha concluso l’omelia di monsignor Pigollo (“Essere portatori di speranza, saper condividere nei propri ambienti”) ha poi trovato diretto collegamento nell’introduzione al programma pomeridiano fatta da monsignor Pedemonte e sintetizzata nel titolo della Giornata diocesana: “Dare concretezza alla speranza nel quotidiano della famiglia, in un vissuto normale e non di coppie che abbiano compiuto scelte radicali; ritrovandola anche nelle comunità parrocchiali, dove spesso viene perduta, per non arrendersi e finire di piangersi addosso”. Lo hanno testimoniato Luisa e Carlo Sanfilippo, genitori di tre figli, sposati da trent’anni, assidui nell’ambito dei corsi prematrimoniali fino al 2010 e che hanno condiviso la loro esperienza genitoriale dopo alcune difficoltà legate alla nascita di una dei loro figli; cosiccome Chiara e Marco Gemme, entrambi di 43 anni, tre figlie dai 16 ai 9, accomunati nell’infanzia dal cammino scout e oggi insieme nei Focolari. Claudia e Giancarlo Toderini (sposi da 40 anni, tre figli e tre nipoti) abitano a Santo Stefano di Larvego e hanno testimoniato la speranza vissuta in una nuova realtà diocesana, figlia dei tempi che hanno portato a nuove scelte pastorali: la
I racconti delle tre coppie sono state poi spunto di condivisione nei gruppi, fino alla chiusura della Giornata, nella Sala del Caminetto, con l’illustrazione dei lavori di gruppo fatti dai bambini sotto la guida di due “suore sitter” e di alcune giovani scout, ultimo momento di comunione, la base della vita familiare.

Paola e Francesco La Spina