
“Il Signore ci dice di non preoccuparci e di seguire la sua via, che è quella del Vangelo. Non siamo chiamati a sviluppare chissà quali progetti o piani precisi nella nostra vita, ma ci viene semplicemente chiesto di seguire Gesù, il suo comportamento, il suo stile, e di farlo emergere nell’essere cristiani”. L’arcivescovo Marco Tasca, riprendendo il brano di Giovanni (14, 1-8), ha così sintetizzato il senso da dare alla “Giornata per la Vita” a conclusione della Veglia diocesana di venerdì 2 febbraio nella chiesa di Santa Zita (organizzata dall’Ufficio per la Famiglia guidato da don Pier Luigi Pedemonte), una serata che avrebbe certamente meritato una maggiore partecipazione, ma ha registrato la confortante presenza di parecchi giovani. Il messaggio di Padre Marco ha ripreso quello del Consiglio episcopale permanente della Cei, riguardo la valenza ecumenica e interreligiosa della Giornata per la Vita, che richiama i fedeli “a onorare e servire Dio attraverso la custodia e la valorizzazione delle tante vite fragili che ci sono consegnate, testimoniando al mondo che ognuna di esse è un dono, degno di essere accolto e capace di offrire a propria volta grandi ricchezze di umanità e spiritualità a un mondo che ne ha sempre maggiore bisogno”.
In tal senso sono andate le due testimonianze che hanno caratterizzato la Veglia. In particolare, quella offerta da una volontaria del Gruppo Emergenza Casa della parrocchia di Santa Zita, concreto esempio della sottolineatura del Consiglio Cei riguardo il fatto che “una civiltà autenticamente umana esige che si guardi ad ogni vita con rispetto e la si accolga con l’impegno a farla fiorire in tutte le sue potenzialità, intervenendo con opportuni sostegni per rimuovere ostacoli economici o sociali”. Come quelli che, nel pieno della pandemia, sono stati provocati dalle repentine conseguenze della emergenza Covid sul fronte dei posti di lavoro e dei contratti precari, riverberatesi spesso con l’impossibilità di pagare bollette e affitti fino ad arrivare al dramma sfratti. “Nel marzo 2021 – ha raccontato Fulvia Tosello – in questa parrocchia ci siamo chiesti se anche la Chiesa dovesse occuparsi di queste situazioni e ci siamo dati una risposta precisa: il Vangelo si vive in modo concreto. Così, seguendo l’intuizione del nostro parroco, don Massimiliano Moretti, abbiamo chiesto il contributo di tutti per “vivere l’Eucarestia” pure in questa maniera. Ogni ultima domenica del mese è stata l’occasione, nella comunità parrocchiale, per un’offerta libera, che ha permesso di intervenire su 120 casi contingenti che coinvolgevano 350 persone. Senza giudicare, entrando in relazione, abbiamo cercato di capire se la nostra vicinanza potesse offrire un futuro migliore, e l’80% delle situazioni si è risolto bene”.
Il Gruppo Emergenza Casa di Santa Zita è oggi formato da 22 persone. “L’idea che ci siamo formati, sulla spinta di don Massimiliano, è quella di riuscire a creare una rete a maglie fitte, con la partecipazione delle altre parrocchie della Diocesi, per un intervento capillare – ha concluso Fulvia – perché, riprendendo un concetto che abbiamo appena ascoltato in occasione della Giornata della Memoria, se una cosa è possibile e abbiamo capito che possiamo farla dobbiamo trovare il modo di farla”.
Un aspetto reso concreto, da oltre quarant’anni a Genova, dal “Centro aiuto alla vita” (sedi in via Romani e in via Menotti), braccio operativo del Movimento per la Vita: dal 1979 a oggi sono stati 5300 i bambini nati da mamme che vi si sono rivolte. Un numero sottolineato da Sophia Furolo, che ha portato la prima testimonianza della Veglia: “Una goccia nel mare, certo, ma aiutare donne e famiglie in difficoltà per gravidanze che creano squilibri tali da portare anche a scelte estreme significa aiutare a scegliere la vita. I nostri atti concreti? Fornire farmaci, latte in polvere, abbigliamento, attrezzature, a volte anche sussidi economici. Poi, altrettanto fondamentali, accompagnamento, counseling e assistenza legale, perché le povertà sono diverse, non solo economiche, ma anche di relazioni, di amicizie, di integrazione”. E, come detto da Papa Francesco, “il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili”.
Francesco La Spina